Ci si deve ricordare che se oggi siamo liberi è perché qualcuno ha fatto in modo che così fosse. Uomini e donne che in un periodo oscuro e triste, forse il più oscuro e triste della nostra recente storia passata, in un’Italia semidistrutta, invasa e divisa hanno deciso di battersi per la libertà, contro l’oppressore nazifascista in un tempo in cui non scegliere ma aspettare il corso degli eventi era facile e spesso senza pericolo.
Nell’Italia sotto il giogo nazifascista uomini e donne di ogni estrazione sociale, di ogni fede politica combatterono non perché idolatrassero il mito della guerra, ma perché questa finisse il prima possibile.
Insieme ai superstiti di un esercito disperso e sconfitto che volevano tuttavia riscattare la loro dignità, questi uomini e queste donne, aiutati dalla silenziosa resistenza della popolazione civile combatterono una guerra impari, contro le truppe tedesche e la milizia fascista, una guerra feroce e dolorosa dove coloro che oggi sogliono chiamarsi VINTI erano i controllori del territorio e dell’apparato statale mentre i VINCITORI dormivano all’addiaccio e, se scoperti e catturati, non restava loro che una tragica sorte di sevizie e barbarie, lenta e crudele che si concludeva solo con la morte. Una morte quasi sempre esibita pubblicamente, con l’esposizione crudele di quel martirio ad amici, parenti e compaesani, nelle strade, sui ponti nelle piazze, sia come monito che per continuare l’umiliazione anche dopo la morte stessa. È la tragica sorte che toccò a Adelio Pagliarani, Luigi Niccolò, Mario Capelli, i tre giovani martiri riminesi dell’antifascismo. Fu quella lotta, la guerra di Liberazione, l’epilogo di quel di un più largo e grande movimento dal quale essa ha tratto linfa e sostegno: l’Antifascismo negli anni del Ventennio, da lì nacque la Resistenza anche di quegli uomini e di quelle donne che vi diedero un apporto decisivo pur non imbracciando le armi.
La guerra dei partigiani è una guerra che si racconta in piccole storie di ciascuno, che si uniscono per l’idea di libertà e di dignità della persona.
E’ la libertà e la dignità della persona a guidare i resistenti, che come in un SECONDO RISORGIMENTO cercarono di attuare e riprendere quel processo di consapevolezza delle coscienze italiane, cercarono di imprimere una rinascita morale e civile alla popolazione, cercarono di ridare dignità agli italiani e a tutto il paese infangato da decenni di dittatura e da alleanze scellerate. Nonostante le differenze nelle ideologie, nelle estrazioni sociali i partigiani SI CHIAMAVANO PATRIOTI, e spesso le ultime parole scritte o pronunciate dai condannati antifascisti furono proprio “”W l’Italia!”, come per RIDARE DIGNITÀ E ONORE A quell’AMOR DI PATRIA di cui il fascismo si coprì per vent’anni fino a renderlo privo di senso, logorato e disonorato.
E questo è giusto ricordarlo proprio in questo anno dedicato al 150° dell’Unità d’Italia, un’occasione – come ha più volte ribadito il Presidente Giorgio Napolitano – per rileggere con gli occhi ma anche con la passione della storia, sia il Primo che il Secondo Risorgimento.
E la stessa idea di LIBERTÀ e di DIGNITÀ DELLA PERSONA la si ritrova nella COSTITUZIONE, figlia diretta della RESISTENZA, documento che nasce dal sacrificio di intere generazioni, base del tessuto democratico del nostro paese.
Un concetto, questo, che niente può illustrare meglio delle parole di Pietro Calamandrei, che certamente ognuno di voi avrà ascoltato molte volte, ma che in questi giorni riacquistano una particolare attualità : “Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra Costituzione.”
Nei suoi principi fondamentali è l’incarnazione dei valori per i quali gli antifascisti pagarono la loro militanza durante la dittatura, si batterono con tenacia durante la guerra nazifascista pur nelle differenze politiche rilevanti.
E’ un documento ancora dopo tanti anni straordinariamente attuale.
IL SUFFRAGIO UNIVERSALE, LA REPUBBLICA, LA DIVISIONE DEI POTERI, CHIARI DIRITTI E DOVERI, IL LAVORO, LA PACE, LA GIUSTIZIA SOCIALE.
Questi sono i principi fondanti della nostra Repubblica.
Salvaguardarli è un atto dovuto nei confronti di chi perse la vita per donarci la libertà il cui sacrificio ormai deve sentirsi come il sacrificio di un’intera nazione, non solo di una parte.
Voler cambiare, Oggi, la Costituzione nei suoi principi fondamentali, significa infangare il sogno di coloro che lottarono e credettero in un Italia NUOV, LIBERA e DEMOCRATICA.
Significa lasciare che l’Italia scivoli lentamente verso una pericolosa deriva.
Per quelli della mia generazione e per quelli delle generazioni dopo la mia, può sembrare quasi impossibile che siano veramente esistiti donne e uomini per cui l’Italia, la vita politica libera fossero ideali per cui mettere in gioco la propria vita.
Ma è proprio grazie a loro che oggi ci sembra quasi impossibile tutto questo.
La loro generazione ci ha dato in eredità la possibilità di scegliere, la dignità delle coscienze, la speranza.
Ci ha dimostrato che anche dalle macerie si poteva ricostruire un’intera città, Rimini e un intero paese, l’Italia.
Ed è forse è anche per questo che ha un senso per noi, per chi è venuto dopo, l’iscrizione all’Anpi, In un mondo in cui il futuro è difficile solo da pensare, quella generazione, la generazione dei nostri nonni ci fa capire come la politica possa essere ancora nobile e bella e,come sosteneva Pertini, debba essere innanzitutto onestà e coraggio,che non ci si debba arrendere alla rassegnazione e allo svilimento della vita pubblica, che si debba - nonostante tutto – continuare a sperare.
In un libro bello e toccante Guido Nozzoli, riminese comandante partigiano grande firma del giornalismo italiano,racconta le gesta della 28 a brigata Garibaldi – la brigata del comandante Bulow e dei suoi coraggiosi soldati contadini.
Tra le tanta gesta, Nozzoli racconta un episodio – forse banale - ma significativo per capire ciò che è stato.
Durante i primi mesi della primavera del 1944 Bulow e i suoi avevano scelto come comando di brigata una casa di campagna isolata di una numerosa famiglia contadina: i Bacchilega.
In quel periodo chi dava asilo a un partigiano subiva le sue stesse punizioni. carcere, più spesso la tortura e la morte.
Eppure Bacchilega e famiglia avevano deciso di ospitare il comando di brigata e nonostante gli insidiosissimi pericoli di quella guerra non trascuravano la cura dei campi. L’anziano capo famiglia ogni mattina si alzava di buon ora, distribuiva i compiti tra i figli, lavorava sodo e di sera tornava a casa, dalla sua famiglia e dai partigiani che essa nascondeva.
A volte però si lasciava prendere dalla malinconia:
Temeva di non poter vivere abbastanza per vedere la fine della guerra, la liberazione delle sue terre. Allora Bulow e gli altri lo sfidavano a carte e gli lasciavano vincere una partita in più. Oppure facevano cadere il discorso sulla politica. Lui allora dimenticava subito tutte le tristezze, si rianimava, ricominciava a parlare pieno di fiducia e voleva sapere come sarebbe stata organizzata la vita politica dopp- e se ne andava a letto contento.
“Beati voi,- diceva -che siete giovani e potrete vedere un mondo fatto bene!”
Per quel mondo sognato da Bacchilega,- per quel mondo FATTO BENE sognato dai chi combatté per la libertà, a nome di tutta l’Anpi vi auguro un coraggioso e libero 25 aprile.